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Rubrica digitale di consigli di lettura proposta da Librarsi Liberi

a cura di Librarsi Liberi

SULLA PELLE VIVA: COME SI COSTRUISCE UNA CATASTROFE

Ma che cosa stiamo facendo?

È il caso di chiederselo se in queste settimane una gran numero di persone si sta via via occupando, anche con grande impegno e morbosa curiosità, delle vicende sentimentali di due personaggi pubblici aventi ruoli importanti e distinti, ma entrambi con grandi capacità di imbrogliare le carte o strumentalizzare cose illimitatamente, chi nel giornalismo chi nella “cosa pubblica”.

Già, siamo a questo punto … E questa è una delle tante circostanze che ormai sono all’ordine del giorno e che fanno notizia, nel mentre avvengono eventi e tragedie di ogni tipo, si presentano situazioni del tutto fuori norma e si aggravano le condizioni delle persone, di tante persone.

Tragedie?

Ormai ci siamo assuefatti a tante situazioni. Se crolla il ponte Morandi, se avvengono alluvioni, se il territorio frana. Infatti solo nel 2023, primo semestre, un nuovo drammatico record di alluvioni e frane con vittime è stato raggiunto.

Ma chi se lo ricorda? Chi ci pensa?

Eppure, in Italia, a causa del maltempo e dell’incuria umana, è successo di tutto. Pensiamo anche agli incidenti stradali e ferroviari. Non solo ponti che crollano. Tutto ciò fa notizia, ma poi tutto si ferma lì.

Anomalie? Mi riferisco alla questione climatica e ambientale. Tutti lo dicono, tutti lo sanno. Ma rispetto alla impellente urgenza di fare qualcosa pare che tutti nascondano la testa sotto la sabbia.

Regresso? Ci risulta che 2 famiglie su 3 siano in difficoltà ad arrivare a fine mese. Rappresenterebbero il 63% degli italiani. La sanità pubblica sta sparendo, il salario minimo non esiste…

Su tutto questo e su molto altro ci comportiamo come in occasione di un terremoto devastante. L’attenzione dura quel che serve o che è indispensabile, poi si passa ad altro. Si dimentica, si fa finta di non vedere.

E poi, è chiaro che la questione è sempre la stessa: ci sono interessi di parte da salvaguardare e quindi si chiudono gli occhi su quello che sarebbe giusto fare o decidere. Vale per la maggior parte delle persone.

Del resto diventa impegnativo, affaticante prendere posizione, fare qualcosina, interessarsi… Meglio starsene in disparte, a guardare la tv, ma non i dossier di giornalismo serio, bensì talk show o programmi d’evasione. Per quanto riguarda l’economia quel che conta è vendere e guadagnare anche oltre il dovuto. Per quanto riguarda la politica quel che conta è dato dai like, dai sondaggi…

La vera questione al centro non è il Paese, ma è diventata la competizione tra leader, per la conquista dei sondaggi (potere)…, al punto da mettere in piazza le questioni private o coniugali…

È da poco stato ricordato l’ennesimo anniversario del disastro del Vajont (1963). Ho rivisto i documentari e riascoltato i giornalisti che l’hanno raccontato come Sergio Zavoli e Giampaolo Pansa.

Da quanto emergerà negli anni successivi alla tragedia appare chiaro che furono fatte scelte scellerate da parte di politici e imprenditori. Si sapeva che sarebbe potuto succedere. L’analisi era stata anticipata con indagini probanti da una grande giornalista, di cui poco si parla: Tina Merlin.

Ora, le domande a cui rispondere sono: perché i disastri continuano a verificarsi anche oggi e le motivazioni e le concause sono quasi sempre le stesse? Perché continuiamo a fare gli stessi gravi errori? Ma cosa stiamo facendo?

Tina Merlin è una di quelle persone che ci hanno offerto una grande al contempo semplice testimonianza. Potremmo partire da esperienze come questa per cercare di cambiare le cose.

Chi è Tina? Tina ha notoriamente a che vedere con il disastro suddetto, la diga maledetta, la distruzione di Longarone, la diga del disonore, un disastro tutto italiano, una tragedia annunciata, quasi 2.000 morti, titoli questi di vari giornali e rubriche per spiegare una tragedia avvenuta il 6 ottobre 1963, e sono appena passati 60 anni.

In quella data, una colossale frana precipitò nell’invaso della diga della valle del Vajont, tra Veneto e Friuli, provocando un’inondazione che distrusse la sottostante cittadina di Longarone.

I morti furono quasi duemila: una delle più spaventose catastrofi avvenute nel secolo scorso in Italia si sarebbe rivelata un evento prevedibile ed evitabile, dovuto a gravi negligenze nella costruzione dell’impianto.

E Tina documentò tutto, preventivando e consuntivando. Pagando alti prezzi per averlo fatto. È per questo, che in quegli anni, la sua penna giornalistica si legò indissolubilmente alla tragedia del Vajont.

Per i suoi articoli di denuncia della situazione pericolosa connessa all’avanzare dei lavori di costruzione della diga già nel 1959 venne processata e poi assolta dal Tribunale di Milano per «diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico». La firma giornalistica di Tina Merlin fece il giro del mondo. Tentò di impedire il consumarsi della tragedia, come poteva e sapeva, ma lo sforzo fu vano.

Il suo libro Sulla pelle viva – Come si costruisce una catastrofe – Il caso del Vajont, pubblicato finalmente da Cierre Ed. nel 1983, dopo aver cercato per anni un editore interessato, ricostruisce l’intera vicenda. Questo è un titolo che viene segnalato particolarmente dalla nostra libroteca, insieme ad alcuni altri tesori dell’autrice.

Tina, negli anni più vicini ai nostri, si impegnò anche in altri settori della vita civile: dalla politica alle istituzioni, dai diritti delle donne ai media (Radio Budapest), per poi tornare al giornalismo (L’Unità a Vicenza) e varie altre riviste d’innovazione sociale. Ha sempre avuto un sogno, fin da piccola, come troviamo nei suoi scritti: «Il mondo che sognavo da bambina, quand’ero a servire, mi s’è aperto, esiste, io esisto col mondo».

Nel 1992, poco dopo la sua scomparsa, è stata fondata l’associazione culturale che ne porta il nome e che vuole continuare la ricerca e l’impegno di Tina Merlin sui temi dei diritti civili, della giustizia sociale e della condizione femminile.

Noi la ricordiamo perché il suo impegno possa essere il nostro.

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