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DARE LA VITA

Recensione a cura di Elsa Manes – redazione di Librarsi Liberi a cura di Gianni Faccin

“Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo, e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia: la voglia di sceglierti ogni giorno in modo differente, come diversa sono io ogni mattina quando apro gli occhi”

Di Michela Murgia è stato detto di tutto. Succede questo, molto spesso, quando una persona è scomoda. Infatti la scrittrice scomparsa recentemente per malattia ha sempre detto il suo pensiero apertamente e ha lucidamente portato avanti il suo credo esistenziale fino all’ultimo, anche quando la vita gli stava scivolando via. Sempre scomodando.

Tra le diverse pubblicazioni inviateci dall’autrice con anticipata consapevolezza dopo la sua prematura scomparsa c’è anche questo libriccino di 128 pagine in cui l’autrice si espone ulteriormente esprimendo il proprio originale pensiero sulle cose umane e sulla vita.

Ecco un passo tratto dal capitolo: Prometto di non lasciarti mai.

Di tutte le promesse che si possono fare a qualcuno, questa è la più crudele, arrogante e infelice: prometto di non lasciarti. Significa: di me so già tutto e posso garantirti che non cambierò mai, perché la mia essenza è così statica che non immagino di evolvermi in nessuna direzione imprevista e posso promettere questa staticità … La logica del binarismo, specie in termini di genere, è ideale per sostenere questa idea cementizia della persona umana, dove ciascuno ha un solo posto al mondo, ognuno una sola identità, sempre quella, e tutti sono rassicuranti e rassicurati, illusoriamente incollati a una sola immagine di sé.

In tale cornice ogni cambiamento è minaccia, ogni alternativa è destabilizzante e considerare una possibilità diversa è un tradimento del patto iniziale.

Dentro questa presunzione di eternità dei rapporti niente deve spostarsi, o non è vero amore, perché il vero amore non cambia …  La quantità di sofferenze che derivano da questa idea irrealistica del cuore delle persone è infinita e spesso vissuta nel segreto. I rapporti in quest’ottica non possono finire, solo fallire.

Lo strazio delle separazioni è peggiorato esponenzialmente dall’aspettativa che non dovessero verificarsi … qualcosa che infligge una ferita insanabile, specie nelle vite di chi fa l’investimento emotivo maggiore (indovina chi).

Quello che Murgia mette in atto in questo libro è un magistrale esercizio di ars maieutica, con il quale si propone e ci propone di “interrogare fecondamente” le cose, al fine di generare, o meglio “dare vita”, a coscienze libere in grado di spaziare oltre i confini imposti dall’alto e che trovino nell’Altro la possibilità di un dialogo aperto e sempre inclusivo.

In questa cornice, trova esposizione un discorso lucido e politico in cui vengono alla luce due questioni chiave nella sua vita di «animale politico», come definisce Aristotele l’essere umano; una definizione che risale al IV secolo a.C. ma che la scrittrice ha incarnato perfettamente, facendo della sua vita un puro atto politico e del logos un mezzo di relazione, tanto privato quanto pubblico, con l’alterità.

Con sguardo lucido, una penna chirurgica e l’ironia che la contraddistingue, Michela Murgia ci conduce nella selva semanticamente oscura di termini come queer family.

Queer, secondo i dizionari, è una parola vecchia di molti secoli. (…) Non a caso si dice che il primo uso di queer con il significato di omosessuale sia quello di una lettera infamante letta pubblicamente al processo che, nel 1895, portò alla carcerazione e poi alla morte di Oscar Wilde.

Quando, negli anni immediatamente successivi, Virginia Woolf inizia a usare quella, queer è dunque sulla soglia tra significati letterali e metaforici. Suggerisce comunque, nel vocabolario gergale anglosassone, una stortura o una trasversalità, ennesimo eufemismo nemmeno troppo velato per riferirsi a tutto quello che diritto non è.

Dopo aver rivelato di essere malata di cancro – alla malattia Murgia dedica Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, libro doloroso e necessario uscito tre mesi prima della sua scomparsa – l’autrice dichiara in un’intervista di aver comprato una casa con dieci letti dove «la mia famiglia queer può vivere insieme», chiarendo il significato di questa espressione: «un nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli. Parole come compagno, figlio, fratello non bastano a spiegarla».

E proprio in questo libro, l’autrice ci porta nelle pieghe della sua esperienza con la maternità e la filiazione d’anima per svelare un modo altro di concepire la famiglia, che non passi necessariamente per il sangue e che non si definisca tramite vincoli di appartenenza; un nuovo modo che abbia più a che fare con la libertà di scelta e con la possibilità di madri di figlie e figli che si scelgono, e che scelgono a loro volta.

Un’idea di famiglia che nasce da una radice diversa rispetto a quella del familismo, e che vede le relazioni familiari come esperienze e realtà moltiplicative, non esclusive ed escludenti, non sostitutive e singolari.

E così la filiazione d’anima, come nelle famiglie queer, è un’affinità elettiva. Un filo invisibile tessuto d’amore che può legare più della genetica.

Nel ringraziare Elsa Manes (Maremosso), sottolineiamo come sia molto interessante la produzione di Michela Murgia, autrice sempre viva che ci può aiutare a individuare domande esistenziali assai stimolanti, che ci aiutino a risvegliarci rispetto al nostro destino. Del resto sono proprie le domande scomode che ci possono portare ad un sano risveglio.

Buona lettura!

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Con affetto

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