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UN INCENDIO CONTINUO

Recensione a cura di Gianni Faccin per Librarsi Liberi de L’incendio di Cecilia Sala

Edizioni Mondadori 2023

È proprio così. Negli ultimi anni si è ampliato un incendio continuo nel nostro mondo che ha trovato costante alimentazione nei venti della estrema lotta per il primato nel controllo delle risorse o dei confini e del voler primeggiare tra i poteri forti emergenti e di turno che sembrano drogati dall’estrema indifferenza e dall’odio, finanziati dalla teoria del “win-lose” (io vinco e tu soccombi). 

L’incendio si è propagato velocemente di recente, e tutto lascia intendere non si fermerà in tempi brevi, anche perché non c’è leadership che provi a cambiare lo schema in atto. In Europa c’è una gara tra improbabili “velocisti” che corrono a chi si prende il posto a sedere più prossimo ai nuovi potenti. E anche in Italia i velocisti si sono riscoperti tali … E la politica (quella cosiddetta politicante) non si vergogna proprio di dichiararsi nei fatti asservita ai nuovi capi mondiali, che ormai governano direttamente e comodamente dai social.

E gli incendi sono molti e devastanti. A noi, non più giovani, non resta che sperare nelle nuove generazioni. Anche in quelle da alcuni definite “sdraiate” (1).

È il caso di Cecilia Sala, 29 anni, giornalista ormai affermata (2). Cecilia ha trascorso le “vacanze di Natale” nel noto carcere iraniano di Evin ed è ritornata libera qualche giorno fa. Di certo non è un’eroina, ma una persona giovane e talentuosa, appassionata di relazioni umane, specialmente ove abitano ingiustizia e lesione dei diritti fondamentali.

Costantemente in viaggio, Cecilia basa il suo lavoro di giornalista su continui incontri sia con persone autorevoli perché rappresentanti di popoli o movimenti, sia e soprattutto con persone semplici come tutti noi, ma che vivono il trauma delle ingiustizie (guerre, lotte intestine, soprusi, rivolte, violenze, ecc.), meglio se appartenenti a giovani generazioni.

Nel 2023 è uscito il suo ultimo lavoro che parla appunto di incontri dal titolo L’incendio. Si tratta di un reportage su una generazione definita “perduta” tra Iran, Ucraina e Afghanistan.

In questo libro l’autrice racconta «tre incendi che bruciano nel mondo» attraverso storie personali di ragazzi e ragazze che si sono trovati ad avere un ruolo di primo piano in un momento di crisi del loro Paese. Il loro sguardo, onesto e disincantato, offre una prospettiva inedita sui conflitti e mostra le contraddizioni di una realtà che risulta più complessa di quanto possa emergere dai titoli di cronaca. E si tratta di una generazione «che tra quelle fiamme sta diventando grande».

Facciamo per brevità l’esempio dell’Iran: gli under 35 rappresentano il 70% della popolazione e, essendo stati esclusi dal tradizionale sistema economico del regime, hanno creato una nuova economia che permette loro di non dipendere dagli ayatollah. Inoltre, nelle università iraniane, la maggior parte dei laureati nelle discipline scientifiche-tecnologiche sono donne che vivono con uno stile di vita vicino a quello occidentale.

Guardando alla trama del libro, e ci rifacciamo a quanto scritto da una nota blogger (3). In Iran, la «generazione perduta», con cui la Repubblica islamica non sa più comunicare, è la prima a scendere in piazza per protestare contro la polizia religiosa all’annuncio della morte di Mahsa Amini, una ragazza di 23 anni arrestata perché non indossava il velo come imposto dalla legge. 

È la generazione di Forouzan, che studia Elettronica e il velo non l’ha mai indossato, e di Assim, che sta per laurearsi in Ingegneria aerospaziale, ma non vuole passare la sua vita a «buttare bombe su giganteschi modellini di siti militari israeliani». È anche la generazione di Nabila, atleta di kick boxing a livello agonistico, lesbica e conservatrice, che crede non sia giusto imporre il velo con la violenza e ritiene che l’uccisione di Mahsa Amini sia «un’onta collettiva e una enormità contro Dio».

A fine gennaio 2022, in Ucraina, la generazione d’oro che nel 2014 ha condotto l’ultima rivoluzione riuscita d’Europa è pronta a imbracciare le armi per combattere una guerra iniziata ben prima che l’Occidente se ne accorgesse. 

Tra i giovani che si offrono volontari per essere arruolati ci sono Kateryna, una modella che ha viaggiato per l’Europa e non vuole vivere secondo le regole dettate da Putin, e Roman Ratushny, uno dei protagonisti delle proteste filoeuropeiste di Euromaidan nel 2013. Nelle fila dell’esercito, ci sono i cittadini più intelligenti, i più generosi, i più coraggiosi, tanto che molti ucraini credono «che Putin perderà, ma la sua vittoria sarà aver tolto a un Paese che odia i suoi cittadini migliori».

In Afghanistan, la generazione cresciuta dopo la cacciata dei talebani nel 2001 ha immaginato un futuro incompatibile con i dettami imposti dai fondamentalisti. Quando nell’agosto del 2021 i talebani entrano a Kabul, Zafira, che a 24 anni era la più giovane sindaca del Paese, sa che il suo stile di vita non sarà mai tollerato dal regime islamico. Private del loro lavoro e costrette a indossare il burqa, le donne afghane hanno organizzato una silenziosa resistenza solidale e hanno avuto la forza di scendere in piazza per protestare al grido di «Donna, Vita, Libertà» contro la morte di Mahsa Amini.

Una nota va dedicata alla scrittura di Cecilia Sala. Quel che mi ha colpito di più nel modo di scrivere dell’autrice, è che la narrazione pare la trascrizione dei suoi interventi a voce nei vari suoi podcast e poi la sua abilità nell’adottare un punto di vista neutrale, lasciando che siano i fatti a parlare, il che è ancora più interessante in quanto a raccontare sono i giovani incontrati durante i suoi viaggi in Iran, in Ucraina e in Afghanistan.

Il racconto di molte storie personali si alterna a parti che offrono un approfondimento sul contesto geopolitico di questi tre Paesi, grazie al ricorso a varie fonti giornalistiche e saggistiche, il che rende maggiormente completo e molto stimolante il reportage.

Chiudiamo con una riflessione del giornalista Mattia Feltri pubblicata il 29 dicembre scorso (4): Mi fa male pensare a Cecilia in isolamento a Evin, lei che non è stata mai ferma un attimo e non si è più fermata, opposto perfetto degli sdraiati della sua generazione. Alle tante parole sull’Iran ha fatto seguire i visti, i voli, i passi, il fare al dire.

E mi fa male perché ogni volta che la incontro mi ostino a chiederle quanti anni abbia, pensando sempre che siano troppo pochi per prenderla sul serio fino in fondo.

Mi fa male pensare a Cecilia in isolamento nel carcere di Evin a Teheran, dove sono state recluse Nasrin Sotoudeh, Narges Mohammadi, Marina Nemat, dove sono state recluse e qualche volta ammazzate le studentesse di cui Azar Nafisi racconta in Leggere Lolita a Teheran, dove vivono in condizioni spaventose oltre diecimila detenuti, soprattutto politici, donne e uomini, che hanno usato il loro corpo, la loro voce, la loro scrittura, la loro arte, la loro vita per combattere lo squallido regime degli ayatollah in Iran …

Nota bene: con questo primo pezzo diamo spazio ad alcune pubblicazioni che esaltano l’importanza dell’incontro umano. Il libro oggetto della presente recensione è tra i consultabili rivolgendosi alla libroteca-rivisteria Librarsi Liberi.

Immagini: dal web by adnkronos.com e chiamamicittà.it

Note: (1) termine che fatto scalpore con l’uscita nel 2021 del libro di Miche Serra Gli sdraiati (Feltrinelli) che ha dato luogo anche all’omonimo film; (2) giornalista de’ Il Foglio e autrice del podcast Stories di Chora News; (3) Francesca Cocchi dal Blog Rivistablam.it; (4) https://www.huffingtonpost.it/.

Buona lettura!

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