Rubrica digitale di consigli di lettura proposta da Librarsi Liberi
a cura di Librarsi Liberi

IN QUESTO MONDO CHI SONO I BUONI?

Giusta questa domanda in questi tempi difficili.
Proprio per questo proponiamo in questa NiL una “recensione” speciale. Il libro preso in esame è uno dei più importanti pubblicati dallo scrittore americano Cormac McCarthy, recentemente scomparso.
Ci avvaliamo di un contributo molto particolare riportato nel web dalla scrittrice Rossana Rolando (Docente di storia e filosofia – Scrittrice e blogger presso Persona&Comunità), che seguiamo da tempo nel suo blog (che puoi trovare cliccando QUI). Il libro è La strada, pubblicato con Einaudi nel 2006, e viene definito da molti come un romanzo post-apocalittico, una narrazione fantascientifica che apre il sipario su molti aspetti della vita.
Scrive Rolando: “Confesso che, prima di essere raggiunta dalla notizia della sua morte, il 13 giugno di quest’anno, non avevo mai letto nulla di Cormac McCarthy. Incuriosita dalle parole di chi ne aveva già da lungo tempo frequentato le pagine, ho deciso di avvicinarmi a questo gigante della letteratura americana. Volutamente ho rimandato ad un secondo momento la lettura del suo ultimo Il passeggero… Ho voluto invece cominciare da La strada, il libro che risale al 2006 e che è considerato fondamentale nella sua produzione, per taluni il suo capolavoro.
È un racconto potente nell’ideazione e nel linguaggio. Se dovessi individuare un’espressione che ne riassuma l’essenza, sceglierei quella che ho incontrato alla pagina 12, laddove si dice che si tratta sempre di ‘inseguire la verticalità’, descrivendo così un movimento che penetra nel fondo della vicenda umana e di tutto ciò che riguarda la vita del cosmo, per trovare la “matrice”, intorno alla quale tutto gira.
Per questo mi pare adatto scomodare il termine “metafisica”, usato da alcuni per indicare il tipo di approccio alla realtà, messo in atto dall’autore: andare alle strutture fondanti di tutto ciò che è. Provo a spiegare questa mia affermazione.
La storia raccontata è tutta raccolta in pochi tratti: c’è stato un evento catastrofico, non se ne conosce la natura, è già avvenuto ed ha incenerito ogni cosa: piante, animali, case, strumenti, oggetti. Sono rimasti solo detriti, rifiuti della terra com’era prima. Tutto è avvolto in una oscurità fuligginosa. Alcuni umani sono scampati alla calamità e sono, in genere, affamati, infreddoliti, incattiviti, divorati dall’istinto di conservazione, capaci di tutto – furto, violenza, uccisione, cannibalismo – pur di sopravvivere.
In questo sfondo apocalittico si stagliano due figure e sono un padre e un bambino. Non hanno nome, quindi, al di là della loro ristretta individualità, rappresentano la relazione simbolica della paternità, vera protagonista della storia.

Anch’essi fuggono verso sud, lungo la strada che conduce al mare, nella speranza di trovare un riparo, un luogo ancora abitabile. Sono laceri, stanchi, derelitti e procedono con un carrello del supermercato in cui mettono le poche cose che riescono a reperire lungo il loro cammino. Il padre ha una pistola per difendere il bambino dai cattivi. È questo legame di protezione e cura verso il figlio che lo tiene in vita e gli fa vincere la tentazione di farla finita, come ha fatto invece la madre.
Ne La strada, McCarthy presenta la sua concezione “filosofica” dell’esistenza, ben al di là della dimensione descrittiva. Apocalisse vuol dire rivelazione, manifestazione del nascosto. Quindi lo scenario scelto dall’autore non indica solo un’ipotetica fine del mondo, ma anche il mondo nella sua profondità, come si disvela agli occhi di chi sa penetrare oltre la parvenza della superficie: ‘Vide l’assoluta verità del mondo.
Il moto gelido e spietato della terra senza testamento. L’oscurità implacabile… Il vuoto nero e schiacciante dell’universo’. Il mondo è tenebra. Il male lo attanaglia e lo attraversa. La verticalità dello sguardo penetra in questo abisso.
Padre e figlio, in particolare il figlio, sono esponenti di una minoranza che resiste, un piccolo resto ancora capace di bontà … ‘Chi sono i buoni? Sono quelli che continuano a provarci. Non si arrendono mai’. Sono coloro che custodiscono la gratitudine, cultori della bontà che salva dalla perdizione. Sono luce e fuoco.
La dialettica tenebra-luce è ricorrente nella trama della narrazione. Essa ricorda il prologo giovanneo, cui è necessario rifarsi, per comprendere a fondo il messaggio racchiuso nel testo (Gv.1, 1-18). La personificazione della luce, spogliata del suo carattere confessionale, legato alla figura storica di Gesù, è il principio ispiratore che sta alla base della trama”.

Librarsi Liberi segnala e propone questo testo, magari non per tutti, ma senz’altro d’interesse per chi desidera perlustrare mondi di fantasia che sono tutt’altro che lontani dalla attuale realtà che viviamo.
Purtroppo molte vicende e situazioni raccontate sembrano prese dalla cronaca di tutti i giorni. Vi possiamo trovare il rapporto con la morte, con i rischi e i pericoli, con la violenza, con la ricerca della sopravvivenza, con il male assoluto, con il soccombere del più debole a vantaggio del più forte, con la perdita di ogni speranza di vita futura.
Ma nel libro ci sono anche i buoni sentimenti, l’importanza della relazione vera, il senso dell’essere padre e dell’essere figlio. Il libro di McCarthy sostiene la speranza di un buon futuro quando alla fine di fronte al ragazzino sembra aprirsi un futuro positivo, dal momento che, guidato dalla sua forza interiore, egli si annette a nuove comunità di sopravvissuti, nelle quali un rinnovato senso di civiltà e di convivenza pacifica sembra farsi debolmente strada.
In definitiva, nel nostro mondo non sappiamo chi sono i buoni, ma sappiamo che la bontà esiste e può essere costruita per il bene di tutti.
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