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Riflessioni di Donato Catalano

“Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero:

– Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”… (Gv 8,1-5)

Nel vangelo di Giovanni (cfr. Gv 8,1-11), un gruppo di scribi e farisei armati della Legge dei padri entra in scena in modo prepotente, trascinando una donna ai piedi di Gesù per cercare di metterlo in difficoltà.

Ben presto, però, essi sono costretti a riconoscere la propria ipocrisia, a deporre le armi e a ritirarsi.

Restano sulla scena solo Gesù e la donna, o, volendo usare una bella espressione di Sant’Agostino, “Misericordia et misera”.

I toni del racconto passano progressivamente da quelli cupi e tremendi del peccato a quelli luminosi della gioia, mentre un profumo di divino avvolge i sentimenti umani degli attori.

Per capire meglio il significato di questo incontro, che Papa Francesco adotta come icona del giubileo straordinario della misericordia del 2016, possiamo leggere il salmo 102, la descrizione della scena fatta da Maria Valtorta nel suo libro L’Evangelo come mi è stato rivelato e la lettera apostolica “Misericordia et misera” del santo Padre Francesco.

Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia;

[…]

Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore.
Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe.

(Salmo 102)

L’anima di ogni uomo nella solitudine del peccato geme come quella dell’adultera e non vede nessuna via d’uscita dalla sua miseria. Disprezzata e condannata dagli altri, ma prima ancora da se stessa alla lapidazione, la donna mendica tra i singhiozzi del pianto la Misericordia e questa non si fa attendere. Gesù, Padre buono e paziente, aspetta che ogni peccatore torni a Lui e si fa sempre trovare con le braccia aperte.

Così, l’Amore va incontro all’adultera, la attira a sé e colma l’abisso delle sue miserie con la sua infinita Misericordia: la solleva dalla polvere dei suoi peccati e la restituisce alla luce della vita.

Nella descrizione che Maria Valtorta fornisce dell’evento, Gesù è anche un giudice giusto che sonda il cuore dell’uomo severamente e senza lasciarsi sfuggire nulla.

Le corazze di ipocrisia che indossano gli scribi ed i farisei per scagliare i sassi della legge contro la donna, si rivelano inconsistenti davanti alle parole di Gesù: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei”. Così, sotto il suo sguardo penetrante, anche i lapidatori realizzano inaspettatamente di essere adulteri, fragili e bisognosi di perdono e si ritrovano convocati in piazza come peccatori insieme alla peccatrice. La misera ed i miseri tremano di paura ora che si vedono nudi, ma la Misericordia abbraccia e perdona l’una e gli altri.

A ciascuno di loro Gesù consente di andare per la sua strada rivestito della misericordia dell’amore, di pentirsi, di ravvedersi e di giungere alla santità.

Anche a noi Gesù dona quotidianamente la sua Misericordia e ci lascia andare per la nostra strada, ma a volte ci dimentichiamo di gioire per questo, di ringraziare e di essere in cammino.

Per non inciampare, ciascuno di noi dovrebbe portare nel suo quotidiano la Misericordia che riceve e curare di tenerla accesa come una lampada luminosa per sé e per gli altri.

Come agire in concreto ci viene suggerito da Papa Francesco nella sua lettera apostolica “Misericordia et misera” della quale seguono gli ultimi paragrafi.

Il carattere sociale della misericordia esige di non rimanere inerti e di scacciare l’indifferenza e l’ipocrisia, perché i piani e i progetti non rimangano lettera morta. Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere sempre pronti ad offrire in maniera fattiva e disinteressata il nostro apporto, perché la giustizia e una vita dignitosa non rimangano parole di circostanza, ma siano l’impegno concreto di chi intende testimoniare la presenza del Regno di Dio.

Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa.

Le opere di misericordia, infatti, toccano tutta la vita di una persona. È per questo che possiamo dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone. È un impegno che la comunità cristiana può fare proprio, nella consapevolezza che la Parola del Signore sempre la chiama ad uscire dall’indifferenza e dall’individualismo in cui si è tentati di rinchiudersi per condurre un’esistenza comoda e senza problemi. «I poveri li avete sempre con voi» (Gv 12,8), dice Gesù ai suoi discepoli. Non ci sono alibi che possono giustificare un disimpegno quando sappiamo che Lui si è identificato con ognuno di loro.

La cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua, nella docile apertura all’azione dello Spirito, nella familiarità con la vita dei santi e nella vicinanza concreta ai poveri. È un invito pressante a non fraintendere dove è determinante impegnarsi. La tentazione di fare la “teoria della misericordia” si supera nella misura in cui questa si fa vita quotidiana di partecipazione e condivisione.

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