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conversazione di Paolo Rudella con Gianni Faccin

Ci sono delle cose che diamo per scontate, degli atteggiamenti che diventano così normali che quasi non vengono notati. L’ aiuto “all’altro” è una di queste e nel colloquio avuto con Gianni Faccin cerco di capire cosa spinge una persona ad “aiutare”, e in che modo.

Gianni, tu sei un counselor professionista … mi spieghi cosa significa?

Beh, la disciplina del counseling, arrivata in Italia piuttosto tardi rispetto ad altri paesi simili al nostro, mira ad instaurare fra due persone (il counselor e il suo “cliente”) una relazione di aiuto, facendo “esprimere” la persona aiutata che, raccontando le difficoltà che l’hanno toccata, riesca a guardare il proprio vissuto da nuovi e diversi punti di vista, per far emergere, assieme agli aspetti negativi, anche quello che di positivo c’è stato nelle proprie esperienze.

È un approccio molto psicologico …

Non tanto, anzi. Potremmo definirlo preventivo. Occupiamo uno spazio che anticipa l’aiuto psicologico senza entrarci. Dobbiamo aiutare le persone in difficoltà a vedere il nero un po’ meno nero, perché da questa presa di coscienza possono trovare la forza per risalire.

Allora ti comporti come un amico …

Sì e no. Come si diceva all’inizio la persona che ascolto è un “cliente”, non per il rapporto economico, che non è detto ci sia, ma per il fatto che si avvale di un mio personale servizio. Con lui (o lei) cerco sempre di instaurare un rapporto paritetico, che non giudica, e che vuole soltanto trovare il modo di trasmettergli che anche nelle difficoltà vale sempre la pena di provare a reagire. E poi ricorro a particolari modalità di interazione come per esempio – semplificando – il fare “domande mirate” o la “riformulazione reiterata”. Sono modalità maturate in seguito ad anni di studio ed esperienza.

Gianni … credo tu abbia sempre lavorato in banca, anche ad alti livelli … “rispettare la persona” … non deve essere sempre stato facile. Giusto?

Anche qui dipende dal punto di vista, da cosa vuoi raggiungere e dal come. Mi sono molto occupato di formazione del personale, portando nel lavoro il counseling organizzativo e aziendale che, attraverso colloqui motivazionali, mirava al consapevole coinvolgimento delle persone nei progetti di sviluppo. Può essere difficile da credere, ma soprattutto nelle strutture verticistiche e tese esasperatamente al risultato è fondamentale che ogni persona capisca quale sia la sua funzione, e la sua resa è direttamente proporzionale alla consapevolezza che ha di questo.

Oggi sei impegnato su molti fronti: dal GSM San Giorgio al progetto DimmiTiAscolto fino all’associazione di promozione sociale Libellula … che sviluppi ci proporrai?

Vorrei strutturare maggiormente percorsi formativi per le persone, lo sto già facendo per nuovi counselor, vorrei attuare situazioni di progettazione sociale che mettano in condivisione svariate professionalità … vorrei riuscire a creare una rete di “occasioni di incontro positive”.

Difficile in poche righe “raccontare” Gianni … presuntuoso provarci. Certo che parlando con lui mi è tornata in mente una riflessione, di cui evito di citare l’autore (dato che non ho trovato riscontro), che più o meno diceva: “abbiamo imparato a calcolare il peso che portano i ponti, ma non sappiamo quanto possiamo caricare sulle spalle di un uomo”. Mi sembra che Gianni stia indagando su questo, e il suo esempio ha già contagiato molte persone.

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Con affetto