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A cura di Gianni Faccin

Seconda parte – segue dal numero precedente

Riprendiamo da dove siamo partiti, un po’ come avviene nelle serie tv.

Abbiamo scritto che mentre la povertà cresce a dismisura, il volontariato attivo invecchia, i volontari diminuiscono, la burocrazia cresce insieme alle patologie, alle solitudini e alle paure, si discute ancora e molto di Iva e connessioni varie e si lasciano le associazioni, specialmente quelle minori, nella massima incertezza, e così tutto il “settore”.

E tutto ciò – se siamo almeno un po’ coinvolti – perché ci può preoccupare?

Occorre renderci conto che il Terzo settore è veramente il “Primo” perché sta affrontando la tempesta del cambiamento da vero “eroe”, dal momento che il suo “non profit” è concreto, non soltanto dichiarato o istituzionalizzato. Il vero profitto proveniente dall’associazionismo e dal volontariato, elementi portanti del Terzo settore, non è quello derivante dai numeri economico-finanziari, bensì dall’utilità sociale che deriva da ben altro approccio. 

E dalla tensione, come abbiamo ricordato nell’uscita precedente, verso la promozione e realizzazione di attività di interesse generale. Dalla tutela dell’ambiente all’animazione culturale, dai servizi sanitari all’assistenza a persone con disabilità e molto altro.

L’utilità sociale è la finalità cui va indirizzata anche ogni iniziativa economica per il raggiungimento della maggior quantità di benessere per il maggior numero di individui, e ciò – sorpresa! – riguarderebbe ogni impresa, anche e tutte quelle profit. Lo afferma la nostra Costituzione (art. 41): … il progresso economico non è un fine, ma semplicemente uno strumento per la realizzazione dei valori fondamentali della persona.

Ora, la riforma del Terzo settore sta equiparando tutti gli enti del settore, lo stesso volontariato, alle imprese. La gestione del Runts (Registro unico nazionale del Terzo Settore), la progettazione sociale, la raccolta fondi, la comunicazione digitale, la redazione dei bilanci sono tutte questioni che richiedono competenze specializzate e continuità nella gestione. Il solo impegno volontaristico non basta più. Il rischio è che sopravvivano solo le realtà più grandi e strutturate.

Le sfide del Terzo settore, ovvero del Volontariato sociale, sono i veri temi da tener presente, andando oltre ai nodi della cosiddetta riforma.

Veniamo da anni in cui il Volontariato si è trovato di fronte a sfide sempre più complesse, in rapida evoluzione parallelamente ai cambiamenti del contesto socio-economico generale della società. Cambiamenti che hanno interessato sia gli aspetti culturali, e il modo di rapportarsi con gli altri, che quelli pratici legati al finanziamento, alla gestione e allo svolgimento delle attività. 

Sfide che hanno drasticamente ridotto il numero dei volontari, la forza economica e la possibilità di operare perlomeno degli enti minori, fino a metterne a rischio la loro stessa sopravvivenza proprio in un periodo come quello odierno in cui invece rivestirebbero un’importanza fondamentale.

La principale criticità è sicuramente la mancanza di ricambio generazionale, frutto di un’età media della popolazione sempre più alta e del fatto che i pochi giovani presenti nel contesto sono concentrati a finire gli studi o sulla difficoltà di trovare lavoro. E la citata riforma è stata un altro duro colpo. Pur introducendo importanti elementi di ordine e trasparenza, ha impattato in modo uniforme su tutto il settore senza tener conto delle piccole realtà e dei contesti specifici.

Di fatto ha parificato tutte le associazioni di volontariato a imprese, distinguendole sostanzialmente solo per l’assenza di scopo di lucro, ma costringendole ad adottare strumenti e metodologie tipiche dell’azienda.

I Consigli direttivi sono spesso formati da dirigenti piuttosto anziani e anche stanchi che non sono riusciti a stare al passo di metodi e tecnologie che sono cambiati così velocemente e incontrano grandi problemi nell’utilizzo dei nuovi sistemi informatici, ormai indispensabili per la gestione delle attività, come la Posta Elettronica Certificata (PEC), la firma digitale e il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID). A parte questo, per una progettazione, cuore di ogni attività, serve una raccolta fondi e spesso un’elevata quota di cofinanziamento, precludendo di fatto a molti la possibilità di agire.

Oggettivamente, oggi, senza un ufficio che si occupi stabilmente della segreteria, di progettazione e comunicazione, molte organizzazioni rischiano di non essere più in grado di operare e, per i motivi prima descritti, aspettarsi che tutto questo sia svolto esclusivamente da volontari, è ormai del tutto irrealistico. Pertanto anche questo diventa un ulteriore fattore di selezione che permetterà solo alle realtà più grandi e strutturate di sopravvivere.

Per il momento, da Roma a Schio, tante Associazioni di volontariato, ancora eroicamente resistono, più di una con testardaggine e orgoglio, perché conserva e coltiva in sé i valori della solidarietà.

Per questo riescono ancora a costruire iniziative pregevoli, pur in presenza di un rischio che diventa timore: siamo vicinissimi al punto di rottura. Davvero. Non è pessimismo!

FINE

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Con affetto


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