
Dovremmo pensare sempre di più al volontariato come strumento di empowerment
Per iniziare, ecco quello che dicono i numeri dell’Istat
a cura di Gianni Faccin
Che parolona “empowerment”, rispetto alla più ricorrente “volontariato”. In realtà, le due parole sono molto collegate e lo saranno sempre di più se si saprà investire maggiormente e meglio, da parte di tutti, cittadini per primi, in questa dimensione che per usare un altro fenomeno verbale sa molto di “sinergia”.
Sinergia è il risultato di un’azione combinata che porta a un’efficacia e a una produttività maggiori rispetto allo svolgimento di attività separate. Volontariato è un’attività che nasce da atti di volontà, consapevoli e deliberati, anche per questo gratuiti, in favore di gruppi di persone che presentano gravi necessità, con una manifestazione che non può essere isolata o individualistica, ma che deve inquadrarsi in una dimensione di gruppo o collettiva.
Empowerment, ovviamente dall’inglese, che può tradursi come potenziamento, attribuzione di potere, emancipazione … significa andare oltre e può fare veramente la differenza. Significa evoluzione personale di chi si impegna attivamente nel sociale, insieme all’evoluzione di chi beneficia delle azioni volontaristiche.
Ecco che se riuscissimo con maggior coraggio e maggior convinzione a metterci in rete tra diversi soggetti associativi per collaborare verso una stessa finalità, se riuscissimo a farlo con lo spirito volontaristico che ci ha finora contraddistinto (da mo’ ci indicano, noi associazioni, come il cuore generoso della città), potremmo diventare sempre di più strumenti di empowerment, ossia di potenziamento delle persone e della collettività.
A ben vedere si tratta di una scelta e di una scelta consapevole. Si tratta in prima istanza di orientare al volontariato, di proporre un’identità, di in-formare. Si tratta poi di associarsi per agire nel concreto, di attivare relazioni d’aiuto, di lavorare per progetti, di comunicare apertamente quanto viene fatto e di rendere conto.
A questo punto ecco una nota di consapevolezza e di novità: se fino ad oggi quanto detto si può considerare una via importante, ma tutto sommato discrezionale, i tempi che viviamo sotto molteplici aspetti chiedono di spingere assolutamente su questa via, in quota, un sentiero delle alte vie impegnativo e al contempo affascinante, per usare una metafora montana, un sentiero che, ovviamente, ci farà abbandonare le vie tradizionali e sicure perché piane e già conosciute nonché sperimentate.
Se vogliamo individuare almeno una delle motivazioni che stanno alla base della citata novità, basti ricordare una importante fragilità sociale, ovvero la crisi che sta vivendo il cosiddetto volontariato organizzato. In un recente articolo pubblicato nel luglio scorso su ItaliaOggi a firma Michele Damiani, si evidenzia il fenomeno di decrescita dei volontari attivi.
E la cosa non è assolutamente da sottovalutare. Infatti a questo si aggiunge l’aspetto anagrafico che presenta un trend elevato, ossia i volontari nelle associazioni sono sempre più anziani e talvolta stufi di dover tenere in piedi realtà che sarebbero invece da rinnovare e rilanciare. Ma tornando all’articolo cui si fa riferimento, viene data, grazie all’Istat, una realistica lettura del volontariato italiano (pubblicazione del 29 luglio, con il report «Il volontariato in Italia – anno 2023).

Quindi, guardando ai dati di due anni fa, appunto gli ultimi disponibili pubblicati dall’Istat, emerge come il 9,1% della popolazione con almeno 15 anni ha svolto attività di volontariato, sotto forma di impegno organizzato o aiuto diretto.
Il volontariato organizzato, cioè, svolto attraverso gruppi, associazioni o organizzazioni, coinvolge il 6,2% della popolazione (3,2 milioni di persone). Il volontariato non organizzato, che consiste in aiuti diretti offerti a persone esterne alla propria famiglia, alla comunità o all’ambiente, riguarda il 4,9% (2,5 milioni). Tra i volontari il 46,1% opera solo in contesti organizzati, il 32,2% solo in modo autonomo, mentre una quota significativa (il 21,7%, circa un milione di persone) unisce le due modalità.
Rispetto a dieci anni prima, si osserva un calo generalizzato della partecipazione: il volontariato organizzato scende dal 7,9% al 6,2%, quello non organizzato dal 5,8% al 4,9%, con una flessione più contenuta ma sensibile al Nord.
Il volontariato rimane una pratica diffusa soprattutto nella popolazione adulta: le percentuali più alte riguardano le persone di 45-64 anni (7,2% per l’organizzato e 5,9% per il diretto) e le persone di 65 anni e più (6,2% e 5,5%). I giovani (15-24 anni) prediligono le forme organizzate (5,3%) rispetto all’aiuto diretto (2,9%), mentre tra le persone di 25-44 anni le due modalità si equivalgono (4,8% e 4,9%).
Nel decennio 2013-2023 il calo ha riguardato soprattutto le generazioni più giovani. Le persone di 25-44 anni registrano le contrazioni più marcate in entrambe le forme di volontariato. Per i più giovani (15-24 anni) il calo è netto: -2,2 % nell’organizzato e -0,7 % nel diretto.
Interessante l’analisi offerta dall’Istat circa le ore effettive, ma su questo sorvoliamo, rimandando al report.
Il documento, assai dettagliato, fa anche un confronto tra le attività svolte dai volontari e quelle delle «professioni presenti nel mondo del lavoro». Un’analisi che «restituisce un settore in evoluzione, segnato da un parziale riequilibrio tra attività specializzate e forme di aiuto più semplici». Il 5,1% dei volontari organizzati ricopre ruoli dirigenziali, come responsabili di organizzazioni o membri di organi direttivi. Significative le differenze di genere: tra gli uomini ricopre ruolo di dirigenti il 6,6% contro il 3,5% tra le donne. Su 100 dirigenti volontari, 67 sono uomini, valore in diminuzione rispetto ai 73 del 2013.
Le risultanze dello studio Istat non ci devono scoraggiare, anzi ci devono orientare meglio, al fine di contribuire partendo dal basso alle evoluzioni in atto. Un supplemento di analisi andrà svolto per capire quello che i “numeri Istat non dicono”. Ma su questo torneremo.
In chiusura, prendendo atto della situazione odierna, dei cambiamenti sociali in corso, delle fragilità sociali a tutti i livelli, delle incertezze e dei tanti ostacoli, occorre ritornare con fiducia e con forza sulle peculiarità del fare volontariato.
Sapendo che per chi si accosta a questa modalità d’impegno, ossia al volontariato organizzato, è forte la sensazione di trovarsi al centro di un’esperienza complessa, nuova e stimolante: succede, infatti, che all’improvviso, da una postazione di spettatore passivo del mondo si passa a un ruolo attivo e diretto, che porta con sé una sensazione di avere la possibilità di “fare”. Inoltre, tramite il confronto con l’altro e le sue diversità, si compie una continua verifica di sé, della propria funzione e della propria posizione sociale. Ed è in queste due letture, soprattutto, che sta il grande valore educativo del volontariato.

Immagini: da foto G. Faccin – Coop. Verlata – Gruppi di volontari dell’Alto vicentino in convegno;
Spunti nel testo:
https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/07/REPORT_Il-volontariato-in-Italia_anno-2023.pdf
ItaliaOggi, Un italiano su dieci fa volontariato. Percentuali in calo rispetto a dieci anni fa, di Michele Damiani – 31 luglio 2025
Oggi vado volontario, AAVV, Erickson 2005 (Librarsi Liberi)

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